Perché un ambientalista dovrebbe essere vegan?
Da vegano, c’è chi l’ha calcolato, potrei sgassare con un puzzolente
Suv tutto il giorno, tutti i giorni, per tutta la vita. E causare, in
questa maniera, meno aiuto all’innalzamento della temperatura terrestre,
rispetto all’italiano medio. Che mangia 83 chili di carne, 25 di pesce e
crostacei, oltre 220 uova, 55 litri di latte animale, ogni anno.
Non ho un Suv, anzi mi sposto in bicicletta elettrica fra i sette
Colli, e quando proprio non posso farne a meno, circolo con un'auto a
metano. Sono stato vegetariano per ventitre anni, ho fatto la scelta
vegana negli ultimi dodici. Prima? Un “italiano medio”, con un impatto
ambientale e sugli animali, nella media. Quella media che sta portando
allo sfacelo il Pianeta. La nostra salute, quella degli ecosistemi, che
continua a condannare a morte gli animali in numeri che vanno oltre ogni
più fervida immaginazione. Fra vecchie crudeltà e nuove tecniche
lava-coscienza come il bio.
Perché il punto rimane chi o cosa continuiamo a consumare. Così,
dovrebbe essere naturale per un ambientalista, più che naturale, essere
vegano. Anzi dovrebbe ormai essere una condizione per poter continuare a
definirsi così. Anche perché, e non è poco, dovremmo sempre tenere a
mente una frase di Gandhi. “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.
Non contenti, noi, di fare solo testimonianza. E volendo incidere non
solo sui nostri personali consumi quotidiani ma con le grandi scelte
economiche.
Qualche dato? Il Rapporto FAO “Livestock’s long shadow” già
nel 2006 ha indicato negli allevamenti la produzione del 18% di anidride
carbonica, metano e ossido di azoto, valore revisionato successivamente
dagli stessi autori fino al 50%. La deforestazione è intimamente
collegata alla creazione di nuovi pascoli per l’industria degli
hamburger “mordi e fuggi” in tutti i sensi. Il 26% delle terre libere
dai ghiacci sulla Terra è occupato dalla produzione animale, il 33% dei
terreni agricoli è occupato dalla coltivazione del foraggio per gli
animali zootecnici, un terzo dei cereali raccolti sono impiegati negli
allevamenti mentre già il 20% dei pascoli sono degradati e sterili per
via dell’eccessivo sfruttamento, a riprova che estensivo o intensivo non
cambia la sostanza, negli anni, dei risultati negativi. Di
animali-macchine che consumano e fanno consumare, molto di più di quanto
producano, vista anche la resa della trasformazione vegetale-animale
(Il 90% della soia prodotta nel mondo viene destinata all’alimentazione
animale, non ai vegani….) che porterebbe sul lastrico qualsiasi impresa
davvero economica e non sovrassistita come avviene in Italia e nel resto
d’Europa per l’industria dei prodotti animali. C’è poi chi ha calcolato
che, se volessimo garantire carne e latte a tutti gli esseri umani
sulla Terra, ai livelli dei nostri consumi nel Nord del Mondo, avremmo
bisogni di altri quattro o cinque Pianeti Terra. Che al momento, non
risultano disponibili….
Ma, si dirà, allora consumiamo prodotti a chilometri zero. Sì, giusto,
ma se questi sono carne o latte, tutto il risparmiato in trasporti sarà
ampiamente ripagato, in negativo, dall’allevamento stesso.
Sostituire un chilo di carne a settimana, nulla, fa risparmiare
trecento volte di più, in termini ambientali, della sostituzione di una
lampadina da 60 watt. Un piatto di proteine vegetali impatta sui gas
serra fino a 30 volte in meno rispetto ad uno di proteina animali. Non
basta? Lo studio australiano del 2010 “The future of animal farming”
ha analizzato la carbon footprint e l’uso di energia dell’intero ciclo
di produzione della carne rossa in due anni, concludendo che le attività
di allevamento in quel Paese sono responsabili per circa il 70% delle
emissioni di CO2 equivalenti del settore agricolo e dell’11% di tutte le
emissioni di CO2 a livello nazionale.
Negli Stati Uniti d’America il 70% degli antibiotici prodotti (13.100
tonnellate l’anno) viene usato per gli animali d’allevamento per
prevenire e curare, come un tossicodipendente, il sistema di produzione
che causa e facilita la propagazione di continue crisi sanitarie.
La produzione di un chilo di carne bovina richiede un’occupazione di
suolo 15 volte superiore alla produzione di un chilo di cereali e 70
volte superiore alla produzione di un chilo di ortaggi.
Nel nostro piccolo invece, sostituendo un chilo di carne di manzo con
proteine vegetali in una settimana (una!) risparmiamo 15.500 litri
d’acqua, non mangiando un hamburger salviamo cinque metri quadrati di
foresta.
Il nostro vero e concreto “Protocollo di Kyoto” può e deve iniziare dalla nostra tavola.
Amici ambientalisti, la ricetta c’è, cambiate menu anche voi! Ormai è anche facile oltre che più gustoso. Anche per le forchette più esigenti.
Amici ambientalisti, la ricetta c’è, cambiate menu anche voi! Ormai è anche facile oltre che più gustoso. Anche per le forchette più esigenti.
Gianluca Felicetti
Presidente LAV
Intervento pubblicato nel dossier "Vegan is better" a cura di Lorenzo Lombardi su "La Nuova Ecologia" di marzo 2015
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