La politica della pachamama ( o Madre terra)
di Benjamin Dangl
Quando ebbi occasione di intervistare Evo Morales, una
mattina di più di dieci anni fa, a Cochabamba, l’allora leader dei
cocaleros e parlamentare dissidente stava bevendo succo d’arancia appena
spremuto, ignorando i continui squilli del telefono fisso nell’ufficio del
suo sindacato. Poche settimane prima del nostro incontro, un movimento
nazionale aveva chiesto che le riserve di gas naturale della Bolivia
fossero poste sotto controllo statale. Il pensiero di tutti andava al modo
in cui della ricchezza del sottosuolo avrebbe potuto beneficiare la
maggioranza povera.
(...) Morales voleva che le risorse naturali
«rappresentassero uno strumento politico di liberazione e unità per
l’America Latina». (...). «Noi, il popolo indigeno, dopo 500 anni di
resistenza, stiamo riconquistando il potere. Tale conquista è orientata al
recupero delle nostre ricchezze, delle nostre risorse naturali». Era il
2003. Due anni dopo, sarebbe diventato il primo presidente indigeno della
Bolivia.
Passiamo velocemente al marzo di quest’anno. (...). Mi
trovavo con Mama Nilda Rojas, dirigente del gruppo indigeno dissidente
Conamaq, una confederazione di comunità aymara e quechua del Paese. Rojas,
insieme ai suoi colleghi e alla sua famiglia, è stata osteggiata dal
governo Morales anche per il suo attivismo contro le industrie estrattive.
«I territori indigeni stanno resistendo», spiega, «perché “le vene aperte
dell’America Latina” continuano a sanguinare a causa delle industrie
estrattive».
Mentre Morales vedeva nella ricchezza del sottosuolo uno
strumento di liberazione, Rojas accusava il presidente di sostenere le
industrie estrattive senza preoccuparsi della devastazione dell’ambiente e
della distruzione delle comunità rurali. Come potevano Morales e Rojas
avere idee così diverse? Parte della risposta va individuata nel più ampio
conflitto tra la politica estrattivista in molti Paesi guidati da governi
di sinistra e la politica a favore della Pachamama e nel modo in cui i
movimenti indigeni si sono opposti all’estrattivismo in difesa dei propri
diritti, della propria terra e dell’ambiente.
Fin dall’inizio degli anni 2000, sono stati eletti in
America Latina diversi presidenti di sinistra, sulla base di programmi che
includevano l’uso della grande ricchezza rappresentata dalle risorse naturali
della regione per finanziare programmi sociali, ampliare l’accesso
all’assistenza sanitaria e all’educazione, ridistribuire la ricchezza,
emancipare i lavoratori, combattere la povertà ed edificare la sovranità
economica nazionale.
All’interno di questo processo di cambiamento, lo Stato
ha assunto un ruolo maggiore nell’attività estrattiva al fine di
beneficiare la società più in generale, anziché riempire semplicemente le
tasche di pochi direttori generali di multinazionali, com’era avvenuto
durante i governi neoliberisti. I costi ecologici e sociali
dell’estrattivismo permangono, ma è cambiata la visione economica. «Le
attività estrattive e l’esportazione di materie prime continuano come
prima, ma giustificate ora da un discorso progressista», spiega l’ambientalista
portoricano Carmelo Ruiz-Marrero.
Per quanto siano molti i cittadini che hanno beneficiato
del maggiore coinvolgimento dello Stato nell’estrazione di queste risorse,
l’estrattivismo continua a determinare l’espulsione delle comunità rurali,
ad avvelenare le fonti d’acqua, a distruggere il suolo e a indebolire
l’autonomia territoriale indigena. Come scrive la sociologa argentina
Maristella Svampa, «la pratica e le politiche progressiste corrispondono in
fin dei conti a un’idea convenzionale ed egemonica di sviluppo basata sulla
concezione di un progresso infinito e di risorse naturali che si presumono
inesauribili». Incoraggiata dal discorso progressista e dal mandato della
sinistra latinoamericana, questa tendenza estrattivista ha prodotto risultati
allarmanti in tutta la regione.
In Argentina, dopo la crisi del 2001-2002, le presidenze
di Nestor e Cristina Kirchner hanno operato con successo per risanare
l’economia, emancipare i lavoratori e applicare una politica economica
progressista a sostegno della sovranità del Paese, dopo anni di
provatizzazioni neoliberiste di servizi pubblici e imprese statali. I
Kirchner hanno posto varie industrie sotto controllo statale e utilizzato
nuove entrate governative per finanziare programmi sociali e ridurre il
debito del Paese nei confronti dei finanziatori e delle imprese
internazionali.
Come parte di questa svolta, lo Stato, nel 2012, ha
ottenuto il controllo del 51% della compagnia di idrocarburi YPF,
privatizzata negli anni ’90. L’anno scorso, tuttavia, la YPF ha firmato un
accordo con la Chevron per ampliare l’estrazione di gas naturale nel Paese,
che si svolgerà in territorio mapuche. E le comunità indigene coinvolte
hanno occupato quattro impianti di perforazione dell’YPF. «Non si stanno
solo appropriando della terra», ha spiegato Lautaro Nahuel, della
Confederazione Mapuche di Neuquèn, all’Earth Island Journal. «(...). Anche
il fiume Neuquén, che è quello da cui beviamo, sarà compromesso». (...).
Il presidente uruguayano José “Pepe” Mujica, salito recentemente
alla ribalta internazionale per la legalizzazione della marijuana,
dell’aborto e del matrimonio tra persone dello stesso sesso, e per la sua
offerta di ricevere i detenuti rilasciati da Guantánamo, si sta orientando
per un accordo con il gruppo minerario anglo-svizzero Zamin Ferrous per la
realizzazione di una grande operazione mineraria a cielo aperto che
implicherebbe l’estrazione di 18 milioni di tonnellate di ferro nel Paese
nei prossimi 12-15 anni. Al di là dell’operazione in sé, il programma comprende
la costruzione di condutture per il trasposto del minerale dall’interno
alla costa atlantica. I critici hanno evidenziato che il progetto
provocherebbe la devastazione della biodiversità della regione e
l’espulsione dei contadini locali. Esiste attualmente un movimento
nazionale attivo nell’organizzazione di un referendum per proibire le
miniere a cielo aperto in Uruguay.
Per quanto l’ex presidente del Brasile Lula e la
presidente attuale Dilma Rousseff, entrambi del Partito dei Lavoratori,
abbiano contribuito alla crescita della classe media del Paese e avviato
con successo programmi sociali diretti a eliminare la povertà e la fame, le
loro amministrazioni hanno anche favorito un’economia estrattivista che non
lascia spazio alle preoccupazioni dei piccoli coltivatori o a quelle per
l’ambiente. Il Brasile possiede la maggiore industria mineraria della
regione. Nel 2011, è stato estratto più del doppio della quantità di
minerali di tutti gli altri Paesi sudamericani messi insieme, ed è il
maggiore produttore mondiale di soia, una coltivazione Ogm che si espande
rapidamente nel continente, con una miscela letale di pesticidi che stanno
distruggendo il suolo, avvelenando le fonti d’acqua e cacciando dai campi i
piccoli agricoltori.
Il presidente ecuadoriano Rafael Correa ha difeso con
forza l’ambiente, attraverso l’approvazione, nel 2008, di una Costituzione
che ha riconosciuto la natura come soggetto di diritti e l’avvio, nel 2007,
di un’iniziativa mirata a mantenere sottoterra il petrolio del Parco Yasuní.
In cambio della mancata estrazione di petrolio in questa regione ricca di
biodiversità, il progetto prevedeva la richiesta a donatori internazionali
di contribuire con 3,6 miliardi di dollari (pari a metà del valore del
petrolio) al Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite per piani di
assistenza sanitaria e per iniziative nell’ambito dell’educazione e in
altre aree. Lo scorso agosto, a fronte di donazioni di appena 13 milioni di
dollari e di promesse di altri 116 milioni, Correa ha annunciato che l’iniziativa
era fallita e che nel Parco Yasuní si sarebbe iniziato a estrarre petrolio.
In un discorso televisivo, il presidente ha affermato: «Il mondo ha
fallito».
Tuttavia, nel momento stesso in cui evidenziava il
dovere delle nazioni più ricche di contribuire a risolvere la crisi
climatica globale, all’interno del Paese Correa rafforzava l’industria
mineraria e criminalizzava i movimenti indigeni in lotta contro le
industrie estrattive nei loro territori. Sotto la sua amministrazione,
numerosi dirigenti indigeni contrari all’attività mineraria, alle misure di
privatizzazione dell’acqua e all’estrazione degli idrocarburi sono stati
incarcerati. (...).
In Bolivia, Evo Morales ha posto grande enfasi sul
rispetto per la Pachamama, sulla lotta contro la crisi climatica mondiale e
sul ricorso a filosofie indigene come il Buen Vivir. Il suo governo (...),
grazie alla gestione statale dell’estrazione di risorse naturali, ha
utilizzato tali entrate per aumenti salariali e programmi sociali relativi
all’assistenza sanitaria, alle pensioni, all’educazione e allo sviluppo di
infrastrutture. Il governo Morales e il suo partito, il Movimento al
Socialismo, hanno già realizzato cambiamenti costituzionali e leggi di
protezione ambientale, promosso l’emancipazione delle comunità indigene e
trasformato in un diritto l’accesso ai servizi e alle risorse di base.
Tuttavia, molti di questi cambiamenti vengono contraddetti dal modo in cui
le politiche del Mas sono messe in pratica.
Il governo ha promosso un piano per la costruzione di
una grande strada attraverso il Territorio indigeno e Parco nazionale
Tipnis. Le proteste hanno dato impulso a un movimento a favore dei diritti
indigeni e della protezione dell’ambiente. In risposta, il governo ha
attuato, nel 2011, una brutale repressione delle famiglie che marciavano
contro il progetto. Il bilancio della violenza governativa è stato di 70
feriti. Le vittime, le loro famiglie e i loro alleati stanno ancora
chiedendo giustizia.
Recentemente, l’impegno del Mas a rispettare la Madre Terra
e i diritti degli indigeni e dei piccoli agricoltori è stato contraddetto
da un altro dei suoi programmi: la Legge sull’Attività Mineraria (...). Ho
chiesto alla dirigente indigena del Conamaq Mama Nilda Rojas il suo punto
di vista rispetto alla Legge Mineraria. «Il governo diceva che avrebbe
governato “ascoltando la base” e che le leggi sarebbero venute “dal
basso’”, ma non è stato così in questo caso», ha affermato. «La legge (…)
viola la stessa Costituzione Politica dello Stato e criminalizza il diritto
alla protesta: non potremo più realizzare blocchi stradali, non potremo più
realizzare marce», ha spiegato. «Anche Evo Morales era uno di coloro che
marciava e realizzava blocchi stradali. E allora come può toglierci questo
diritto alla protesta?».
«Questo governo porta avanti un discorso politico falso
a livello internazionale, difendendo la Madre Terra: si tratta realmente di
una menzogna», ha spiegato Rojas. (...).
Gran parte della sinistra latinoamericana rappresenta in
molti aspetti un considerevole miglioramento rispetto ai predecessori
neoliberisti, contribuendo a forgiare un incoraggiante percorso in
direzione di alternative servite da ispirazione in tutto il mondo. (...).
Considerando questa nuova direzione, c’è da sperare che la destra neoliberista
non recuperi il potere e che Washington non sia più in grado di intervenire
in un’America Latina sempre più indipendente.
Tuttavia, mentre la marcia verso il progresso prosegue
in molti modi e gli anni delle elezioni vanno e vengono, i perdenti della
nuova sinistra latinoamericana sono spesso gli stessi di prima: le comunità
rurali e i movimenti indigeni che hanno contribuito a spianare il terreno
per l’elezione di questi presidenti. Nel nome del progresso, della Madre
Terra, del Buen Vivir e del Socialismo del XXI secolo, questi governi
stanno contribuendo ad avvelenare i fiumi e la terra e ad espellere,
incarcerare e uccidere gli attivisti in lotta contro l’estrattivismo. Un
movimento di solidarietà che non consideri tale contraddizione può pregiudicare
diversi movimenti di base che lottano per un mondo migliore.
Se mai avrà successo un modello alternativo che ponga
realmente la qualità della vita e il rispetto per l’ambiente al di sopra
dell’aumento del prodotto interno lordo e dell’espansione del consumismo,
che ponga la sostenibilità al di sopra della dipendenza dall’estrazione di
materie prime, che ponga i diritti dell’agricoltura su piccola scala e
l’autonomia territoriale indigena al di sopra dell’attività mineraria e
delle imprese produttrici di soia, il merito sarà probabilmente di questi
movimenti di base. Se questo modello dovrà trasformare le più diffuse
tendenze progressiste della regione, questi spazi di dissenso e dibattito
nei movimenti indigeni, ecologici e contadini dovranno essere rispettati e
amplificati, non schiacciati e messi a tacere.
«Stiamo in piedi, in lotta contro l’estrattivismo», ha
affermato Rojas. «La Madre Terra è ormai stanca».
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