Greenpeace assolta
Porto Tolle: Greenpeace assolta, ora a processo
ci va Enel
IL Fatto- Ambiente e
veleni.
Assolti. Lo scorso 4 ottobre sono stati assolti 25 attivisti di
Greenpeace che, nel 2006, furono protagonisti per tre giorni di una azione di
protesta alla centrale di Porto Tolle (Rovigo) che Enel
vuole convertire a carbone. L’azione era motivata anche dal fatto che, per “far
spazio” a questa nuova centrale, l’allora governo Prodi aveva
presentato un piano di emissioni di Co2 al rialzo, che prevedeva soglie di
emissione non in linea con gli impegni dell’Italia in materia di difesa del
clima. Con quell’azione Greenpeace
chiedeva il blocco della conversione a carbone – allora
peraltro vietata dalla legge istitutiva del Parco regionale veneto del Delta
del Po – e la riduzione del piano di emissioni di Co2.
La protesta non ebbe effetti sul governo,
che tirò dritto, presentando un piano di emissioni elevate proprio per “far
posto” anche a Porto Tolle. A tagliare il piano – di oltre la metà rispetto a
quanto richiesto da Greenpeace – fu, qualche mese dopo, la Commissione Europea. Successivamente una coalizione di ambientalisti, tra cui Greenpeace, vinceva al Consiglio di Stato un
ricorso contro l’autorizzazione del progetto, che
ora è di nuovo in itinere.
Enel nel frattempo è un’azienda molto
diversa, almeno in termini di immagine. Dalla fine del suomonopolio sull’elettricità, e sempre più con l’accresciuta concorrenza nel settore, investe milioni e
milioni di euro in marketing e comunicazione. Investe per raccontare ai consumatori e ai cittadini che è
un’azienda attenta alla sostenibilità e al profilo etico del suo business. Forse va raccontata una storia un po’ diversa. Enel è il
quarto emettitore assoluto, in Europa, di gas serra; il primo in Italia. Solo
nel nostro Paese, le emissioni delle sue centrali a carbone causano una morte
prematura al giorno e danni per quasi 2 miliardi di euro l’anno. Che l’azienda
non rifonde.
Enel comunica in
una sola direzione. Inonda l’opinione pubblica di messaggi promozionali ma non
accetta interlocuzione alcuna. Si presenta ai processi contro Greenpeace con
una linea non molto diversa da quella delle autorità
russe che in questi giorni detengono i nostri attivisti “colpevoli” di una protesta
pacifica contro le trivellazioni petrolifere in Artico. I legali di
Enel si presentano ai processi contro Greenpeace con una linea non tanto
diversa da quella presa dalle autorità russe in questi giorni: oltre a
richieste esorbitanti di danni, chiedono di considerare Greenpeace una “associazione a
delinquere”. Il giudice a Rovigo, come quello a
Brindisi, ha respinto la richiesta di considerarci tali. Del resto, la risposta
ai nostri rapporti scientifici – elaborati da Istituti terzi – sui morti dovuti
alle emissioni delle
centrali a carbone dell’azienda, Enel ha risposto
con querele e denunce, ma senza alcun argomento tecnico.
Ora a processo ci va anche Enel – già
condannata per disastro ambientale per la stessa centrale di Porto Tolle – e
Greenpeace si è costituita, assieme ad altre associazioni, parte civile nel
procedimento. Esistono studi epidemiologici predisposti dal pm che mostrano
tali effetti. La centrale di Porto Tolle, alimentata a olio combustibile, ha
funzionato grazie a continue deroghe ambientali, non avendo mai applicato una
direttiva europea sulle emissioni del 1988: un altro caso di violazione
pianificata delle norme ambientali.
La centrale di Porto Tolle per anni ha
emesso inquinanti con quantità anche 20-30 volte superiori a quelle previste nel piano della
sua conversione. Utilizzando un modello previsionale dell’Università di
Stoccarda, gli impatti sanitari di una centrale a carbone a Porto Tolle, come
quella progettata da Enel, equivarrebbero a 85 casi l’anno di morte prematura
associabile alle emissioni. Dall’analisi
delle emissioni della vecchia centrale a olio combustibile, che Enel ha
utilizzato pienamente fino al 2006, è lecito ritenere che la
mortalità in eccesso associata all’operatività di quell’impianto fosse maggiore
di circa 10 volte almeno.
In queste settimane, l’ultima trovata di
Enel è su tutti i media: tv, giornali, web, social. #Guerrieri è un hashtag presto
divenuto un “crashtag”, un vero case history di fallimento di unacampagna
pubblicitaria: migliaia di cittadini e consumatori lo
hanno utilizzato per contestare l’azienda, per ricordare le sue inefficienze e
i suoi impatti sul clima, sull’ambiente, sulla salute. Migliaia e migliaia di
persone, sui canali social, hanno sfidato Enel con l’irriverenza. I
‘guerrieri’, quelli in cui Enel non pensava di imbattersi, sono anche coloro
che si battono perché l’azienda riduca la sua quota di produzione a carbone,
giunta al 50 per cento della produzione in Italia. Sono quelli usciti assolti
dal processo a Porto Tolle, e che continuano la battaglia come parte civile per
inquinamento e danni alla salute: fratelli di quei 30 ‘guerrieri’ detenuti oggi
in Russia per aver cercato di difendere l’Artico e il clima dal petrolio. Sono
i guerrieri
dell’arcobaleno.
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